Minacce a pm e super testimone: proiettili in una busta

Il pacchetto recapitato alla vigilia del processo per l'omicidio del gioielliere Gabriele Mora.

Minacce a pm e super testimone: proiettili in una busta
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Minacce a pm e super testimone: una busta contenete proiettili alla vigilia del processo per l'omicidio del gioielliere Gabriele Mora, avvenuto a Suzzara 23 anni fa.

Un proiettile per procura e testimone

Una busta gialla contenete un proiettile recapitata alla Procura di Mantova e un busta in tutto e per tutto uguale recapitata invece al testimone chiave che ha incastrato la gang dei presunti autori dell'omicidio del gioielliere Gabriele Mora, ucciso nel tardo pomeriggio del 19 dicembre 1996 nella sua gioielleria di via Luppi Menotti a Suzzara. La gravissima minaccia è stata resa nota ieri, lunedì 8 aprile 2019, in tribunale dal procuratore capo Manuela Fasolato e dal pm Giulio Tamburini in apertura del processo. Minaccia che ha particolarmente scosso la giuria popolare presente in aula e che conferisce al procedimento penale un'aura ancora più pesante: si tratta infatti di un processo per un brutale omicidio avvenuto al culmine di una tentata rapina e che, ora, oltre 20 anni dopo, vede minacce concrete all'indirizzo della procura di Mantova e del testimone chiave. In aula e in tribunale anche parecchi carabinieri, sia in borghese sia in divisa.

In cinque alla sbarra

Imputati per quell'omicidio sono in cinque: Adriano, Danilo e Giancarlo Dori, ieri presenti in aula, oltre a Stefano DoriGionata Floriani, che invece ieri erano assenti dal tribunale mantovano. Fanno tutti parte della stessa famiglia di giostrai senza fissa dimora e con domicilio in varie città d'Italia. A presiedere il processo i giudici Chiara Comunale e Beatrice Bergamasco. Ieri in realtà la difesa ha sollevato alcune eccezioni per cui l'inizio vero e proprio del processo è stato fatto slittare al prossimo 29 aprile 2019.

Il brutale omicidio del gioielliere

Tutto si verificò nel tardo pomeriggio del 19 dicembre 1996. Di fronte alla gioielleria di Mora, in via Luppi Menotti a Suzzara, arrivò una Volvo station wagon dalla quale scesero i banditi, intenzionati a rapinare il negozio di gioielli armati di pistola. Nel giro di pochi istanti all'interno della gioielleria si scatenò l'inferno: il gioielliere, per difendere la moglie, ferì a morte con un colpo di pistola tale Rudy Casagrande. Uno degli altri componenti la gang, per tutta risposta, svuotò il caricatore della propria rivoltella contro il gioielliere: sei colpi di pistola, tutti al torace, che provocarono la morte istantanea del gioielliere, che all'epoca non aveva ancora compiuto 42 anni. Il corpo in fin di vita di Casagrande venne trovato circa un'ora e mezza dopo l'omicidio di Suzzara a poca distanza dall'ospedale di Thiene, in provincia di Vicenza.

Due anni fa la svolta

Nonostante le indagini, sul brutale omicidio di Suzzara calò il silenzio per oltre vent'anni e non furono trovati responsabili. Poi, a inizio 2017, la comparsa del testimone chiave: un altro componente la famiglia di giostrai che, dal carcere in cui dovrebbe rimanere fino al 2040 per altre vicende, iniziò a testimoniare e ad accusare i componenti della sua stessa famiglia, ascoltato dalla Direzione distrettuale antimafia di Trieste. Dichiarazioni che sono state ascoltate, vagliate e ritenute perfettamente credibili e che hanno portato alla sbarra i cinque accusati dell'omicidio Mora. Accusati che sono tutti a piede libero, dal momento che né la Corte d'Appello né la Corte di Cassazione hanno disposto misure cautelari nei loro confronti, considerato il fatto che da quell'omicidio sono passati quasi 23 anni.

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