Carabinieri condannati per lo scandalo trans: ricatti in cambio di rapporti intimi
Confermata la sentenza nonostante il ricorso: i due carabinieri in servizio a Mantova ricattavano due transessuali in cambio di rapporti sessuali con loro, sulle auto di servizio a turno.
Carabinieri condannati dopo lo scandalo: ricatti a due transessuali che venivano obbligati ad avere rapporti con i due gratuitamente, sulle auto di servizio e in divisa, durante il loro servizio a Mantova.
Carabinieri condannati per lo scandalo cittadino: ricattavano transessuali per sesso con loro
E' arrivata la conferma, le accuse avevano fatto scandalo si sono rivelate fondate: i due carabinieri in servizio a Mantova dal 2008 al 2010 sono stati condannati dalla Cassazione per induzione indebita e peculato d’uso. Il calabrese Marco M. è stato condannato a 4 anni di reclusione. Al romagnolo Roberto S. sono toccati 3 anni e 8 mesi di carcere. I due erano accusati di aver consumato reiterati rapporti sessuali con due transessuali ottenuti con l'arma del ricatto. I due carabinieri condannati facevano leva sul fatto che i trans non avessero i documenti in regola, in cambio del loro silenzio pretendevano rapporti intimi.
Sesso sull'auto di servizio: il racconto di Ana Paula e Bruna
Stando alle testimonianze dei due transessuali - Ana Paula e Bruna - i carabinieri consumavano i rapporti in divisa e si alternavano a bordo dell’auto di servizio. Gli uomini tenevano in pugno i due transessuali con la continua minaccia di una possibile denuncia, a cui avrebbe potuto seguire un'espulsione. La vicenda venne scoperta perché un altro trans, amico delle due vittime, fermato dai carabinieri si era lasciato sfuggire che le sue amiche erano "protette" dalle forze dell'ordine in cambio di prestazioni sessuali. Le indagini portarono quasi subito a scoprire le numerose telefonate degli imputati all'indirizzo di Ana Paula e Bruna.
Ricorso inutile: la Suprema Corte sottolinea la gravità dei fatti
I due imputati avevano tentato di giocarsi la carta del ricorso contro la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Brescia nel 2016, che confermava quella pronunciata in primo grado dal Tribunale di Mantova. La Suprema Corte - alla quale si erano rivolti - ha confermato la pena qualificandola come giusta e congrua “In riferimento alla gravità dei fatti ed alla situazione di particolare debolezza delle persone offese, anche solo a considerare che la loro presenza sul territorio italiano era giuridicamente irregolare”.