È iniziata la fase 2, ma chi si prenderà cura dei bambini?
Il lavoro riparte ma le risposte per le famiglie con figli sono tuttora insufficienti.
E’ scattata la fase 2. Per circa 4 milioni di lavoratori in tutta Italia oggi, lunedì 4 maggio 2020, è il giorno della ripresa della loro attività. Tra questi ci sono anche madri e padri di famiglia, che si trovano ad affrontare un problema insormontabile: a chi possono affidare i loro figli se le scuole restano chiuse fino a settembre e i contatti con i nonni, seppur possibili, dovrebbero essere (per ragioni sanitarie) meno frequenti di prima? La domanda resta lì, in sospeso, ed è troppo importante per rimanere senza risposta: chi si prenderà cura dei bambini?
Chi si prenderà cura dei bambini?
Al momento le soluzioni messe sul tavolo dal Governo sono due, alternative tra loro: il bonus baby sitter di 600 euro oppure 15 giorni di congedo parentale straordinario retribuiti al 50%. A fronte del protrarsi della chiusura delle scuole, però, questi strumenti risultano insufficienti: calcolando un compenso di 10 euro l’ora, il bonus ne copre 60, mentre il congedo rappresenta una soluzione solo per tre settimane. Che fare allora? Sono allo studio diverse soluzioni, di cui il Dpcm approvato il 26 aprile 2020 non fa però alcuna menzione. Sul piano per l’infanzia stanno lavorando i ministri e tra i temi di punta ci sono l’apertura dei centri estivi e l’organizzazione di attività educative negli spazi aperti e nei parchi, in una “modalità sicura con piccoli gruppi”. Peccato che alcune realtà hanno già comunicato ufficialmente l’annullamento dei campi estivi 2020 sottolineando la difficoltà di garantire la sicurezza dei partecipanti e la necessità di tutelare per prima cosa la salute.
La psicologa: “I bimbi hanno bisogno di sentirsi ascoltati”
Dopo due mesi di isolamento, i bambini e i ragazzi si apprestano ad affrontare la fase 2 in cui potranno rivedere (e non riabbracciare) i loro nonni, ma non gli amici e i compagni di scuola. Come aiutarli a vivere la situazione?
“La cosa principale è dare le informazioni, sempre, finché la situazione permane – ha sottolineato la dottoressa Monica Miglioli, psicologa – La spiegazione va fatta con un linguaggio accessibile in base all’età e la comunicazione deve essere sincera e onesta. Ad esempio si può dire che ci sono degli esperti stanno pensando a come gestire il Coronavirus e pian piano il ritorno alla normalità; che inizieranno i grandi ad andare a lavorare e poi questi professionisti ci diranno di volta in volta cosa possiamo fare.”.
Importante anche tener conto delle loro reazioni emotive. “Sono reclusi da due mesi: reazioni non sempre positive come ansia, rabbia, tristezza sono normali e non vanno banalizzate – ha aggiunto la psicologa – I bambini hanno bisogno di sentirsi visti, pensati, ascoltati. La situazione è lunga, difficile e insolita”. Le scuole che si sono attivate con le attività didattiche a distanza e soprattutto con le videochiamate mantengono un contatto visivo che per i bambini è importante, soprattutto per i più piccoli. “Bisogna cercare di mantenere ritmi quotidiani simili a quelli di prima almeno negli orari in cui ci si sveglia, si pranza, si va a dormire – ha precisato la dottoressa – Se possibile cercare di fare delle attività insieme, anche giochi di movimento e manualità, disegni. Attraverso il gioco i bambini esprimono dei contenuti. E se i genitori sentono di non farcela, noi ci siamo e possiamo aiutarli”.